La commedeja pe mmuseca napoletana, che solo in seguito alla sua diffusione nazionale e internazionale venne chiamata “opera buffa”, nacque nei primi anni del ‘700 contemporaneamente alla commedia dialettale in prosa. La commedia musicale si formò attraverso l’innesto delle forme musicali dell’aria e del recitativo su un tronco drammaturgico che ricalcava, senza troppe modifiche, quello della commedia in prosa. L’uso del dialetto, comune ad entrambi i generi, non ne prova un’origine popolare, ma va interpretato come il rifiorire di una tradizione culturale indigena opposta a quella dei dominatori spagnoli e austriaci. Il genere otteneva un successo crescente diventando una moda della società settecentesca realizzata nella lingua locale e rivelandosi come un’occasione sociale che favoriva la prossimità dei ceti e metteva in gioco il ruolo e i privilegi dei “cavalieri” che sedevano nei palchetti e partecipavano allo spettacolo confusi tra gli altri spettatori. Anno dopo anno si creò una vera e propria industria teatrale, alimentando un mercato del lavoro “creativo” estremamente articolato che richiedeva manodopera specializzata, come compositori, impresari, librettisti, attori e cantanti, orchestrali, ballerini, professori di musica. Si aggiungono scenografi e architetti teatrali, artigiani che dipingevano i fondali, confezionavano le scarpe, le parrucche, i guanti e le armi finte, fornitori di tessuti e costumi, di materiali scenici, di falegnameria, di edilizia, addetti che vendevano sorbetti e cerini, trasportavano le lettighe, smorzavano le candele, pulivano la platea e i palchetti, fino ad arrivare al mercato editoriale. L’opera buffa è uno dei beni dell’identità storica di Napoli.

La terza edizione del Festival si svolgerà dal 3 al 5 novembre a Sala Assoli e al Teatro Nuovo, coinvolgendo anche quest’anno l’intero edificio del teatro